Il mistero di san Sebastiano

Rafael_-_S._Sebastião

Sebastiano è un santo facile da riconoscere, le frecce lo rivelano al primo sguardo. Nel raffigurarlo, i pittori si dividono in due schiere: quelli che, nonostante i numerosi dardi, lo immaginano imperturbabile e sereno, e quelli che calcano la mano sul tormento. E poi c’è il Sebastiano di Raffaello. Il quadro conservato all’Accademia Carrara è di inizio ’500, il Maestro ha solo 21 anni. Ci presenta un giovane dalle delicatissime fattezze: lunghi capelli a incorniciare l’ovale, il vestito di stoffa preziosa, unico richiamo al martirio il rosso della stola, che riverbera sull’incarnato. Un ritratto semplicemente perfetto, anche se, come ricorda Flannery O’Connor, «la perizia da sola risulta letale. Necessaria è la visione che l’accompagna». Qualche dolce altura muove la scena sullo sfondo, il cielo digrada e sfuma nell’aureola che riprende e riscatta le movenze del monile. Il Sebastiano di Raffaello non soffre, semplicemente si offre alla visione: il corpo non esibisce ferite, gli occhi danno appena verso il basso, la mano impugna la freccia, sembra una penna per come il santo la maneggia. Il pittore ha compreso che il mistero di Sebastiano non sta nel corpo vilipeso o nella salvezza che la Chiesa comunque gli assicura. Il suo Sebastiano sta per compiere la scelta assurda, estrema; anzi, il santo ha già deciso la sua sorte, altrimenti avrebbe gli occhi sul dardo, incerto e trepidante. Nell’istante fissato dal pittore, lo strumento del martirio si fa congegno di possibile scrittura. Sebastiano soppesa la freccia e lo strazio che l’attende. La fede sostiene la scelta, che lo avvince e guida.

Un altro quadro di Raffaello, il ritratto di Elisabetta Gonzaga

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