Nardoso secondo Carlo Emilio Gadda

In un racconto di Gadda, Navi approdano al Parapagàl, lo si trova ne L’Adalgisa, si legge quanto segue: «… sotto la lucentezza nardosa de’ capegli si percepiva di leggieri un’adolescenza alla flanellina, e al rosbiffe». Ora, sorvolando sull’adolescenza «alla flanellina, o al rosbiffe» compendio di una vita e insieme capolavoro, come non arrestarsi di fronte a quel «nardosa», che proprio non ci si capacita? È uno di quei termini che nemmeno la rete ti aiuta, e per fortuna, sennò a che servono i libri? E allora mi tocca estrarre di gusto nientemeno che il Battaglia volume XI, scartabellare con cura fin che ti inciampo nel lemma. Nardoso vien da nardo, erba odorosa e medicinale, con un profumo simile a quello della lavanda. E allora da quel nardoso che a primo suono sembra spagnoleggiare ti si sprigiona un olezzo tutto ampolle e canterani, che non ti lascia stare. E nardoso deriva per l’appunto dall’uso di prodotti cosmetici ordinari e volgari, diciamo pure dozzinali: dunque sta per untuoso, li vedi quei capegli lucidi oltre misura perché trattati con essenze dense, magari costose per via di un lignaggio malinteso. Ora, trascuriamo dove e come il Gadda pescasse certe parole strambe, la lingua del Gaddus è uno dei misteri più fitti dell’universo. Per oggi facciamoci bastare il nardoso, con quella erre che poi scivola nella sibilante finale; e ripassiamo ogni tanto questa bella voce, diamogli fiato, che l’ingegnere se lo merita, e magari ringrazia; certo senza farsi notare, non è cosa per uno che pare malmostoso assai, e ruvido al tratto. Ma sotto sotto è fragile e puro, come i suoi orditi di consonanti e vocali.

Vi va di scoprire un’altra espressione del Gaddus? Ecco intignazzato

Aggiungi Commento

Your email address will not be published. Required fields are marked *